Meeting Lab 2023 AIHC: Note sparse a margine di un incontro sull’Essere per il Benessere
Firenze, 28 ottobre 2023. Mentre percorrevo lentamente Borgo Ognissanti in direzione dell’Hotel Montebello Splendid – splendida scelta di nome e di fatto quella di ospitare in un palazzetto ottocentesco arredato in stile neoclassico, a pochi metri dai ponti sul Lungarno progenie del Rinascimento, un incontro dedicato ai professionisti del benessere personale e professionale – mi tornavano in mente alcune parole tratte dal “Diario fiorentino” di Reiner Maria Rilke, mio compagno di viaggio in treno.
“Perciò la via dell’artista dev’essere questa: gettare un ponte dietro l’altro sopra gli ostacoli e alzare gradino sopra gradino, fino a quando potrà guardare in se stesso. Non costretto a fatica, ma calmo e chiaro come in un paesaggio. Dopo questo ritorno in se stesso, ogni azione sarà solo una gioia; la sua vita sarà un universo e più non occorrono le cose poste fuori di lui, perché egli ora è lontano e ha in sé spazio per ogni maturazione” (BUR 1990, p.95).
Costruzione di un ponte, uno dietro l’altro, dice il poeta, per superare gli ostacoli step by step fino al ritorno in sé e allo sguardo interiore, calmo e chiaro come un paesaggio. E non è forse qui ritratto il Coaching come trasformazione, come passaggio naturale verso l’evoluzione personale e professionale, verso la crescita dell’empowerment individuale? E se per di più il meeting si svolge nella Sala della Concordia, illuminata da vetri colorati che lasciano filtrare la luce naturale ed ornata da specchi che risaltano il riflesso dei volti e la riflessione delle menti, ancora una volta mi chiedo dove si trovano il Caso e la Necessità? Dove albergano la maturità e la decisione?
“La cura dell’Essere nell’esserci”, una frase di M. Heidegger che fa capolino dallo schermo dietro coloro che animano nel pomeriggio di sabato l’amabile conversazione guidata da Rosario Gagliardi (presidente del Comitato scientifico di AIHC) sul ruolo dell’Health Coach a supporto della professione sanitaria e dei pazienti, richiama alla memoria i miei ricordi sul Dasein: esserci, ovvero progettare il futuro da sé, autogovernarsi per essere dotati di progetto e progettualità.
E se nel progetto di una vita, anzi nell’equilibrio tanto sospirato e a fatica raggiunto, irrompe un imprevisto, una sofferenza, un disagio… cosa accade, dentro e fuori di noi? E se, come ci ha mirabilmente narrato Marta Arduini – ieri allenatrice di basket, oggi allenatrice di vite altrui dopo aver imparato come ci si allena a superare, gradualmente, un brutto incidente e a rifondarsi – si presenta inaspettatamente “un gomito fuori di me, una frattura considerata la tomba degli ortopedici”, cosa possiamo imparare? E soprattutto, dopo aver imparato per sé, come si può trasmettere agli altri Consapevolezza, Empowerment e Interconnessione?
“Tienilo tu quello, un paziente che da 30 anni ha il Morbo di Crohn… Almeno ci parli!” A questa raccomandazione disperata, con l’anima piena di speranza Simona Cosentino, biologa ricercatrice, ci ha riportati sulla dinamica duale medico-paziente e sulle infinite possibilità che migrano, attraverso la parola, da uno all’Altro, consentendo l’accesso all’inconoscibile, al non detto: “Dottoressa, forse ho capito che la malattia ha bisogno di me…”. Forse è vero che dopo un grande male, c’è sempre un grande bene.
E quindi la domanda posta da R. Gagliardi – “Tu hai un corpo o sei un corpo?” – non presuppone solo una risposta, bensì va nella direzione del cambiamento esistenziale, quel cambiamento trasformazionale e ontologico che per emergere e farsi strada dentro di noi abbisogna necessariamente di nuove prospettive, nuove parole e nuovi significati. E così arriviamo al “linguaggio costruttore di realtà di benessere”, con il quale Laura Cantarini, in virtù della sua pluridecennale esperienza nello scambio e nella mediazione che transita attraverso le culture di popoli che pensano e parlano in tanti modi diversi tra loro, ci ha spiegato con passione come si possa recuperare una prospettiva nuova attraverso la conversazione. Ci si prende la responsabilità di osservare, cambiare e decidere usando un “linguaggio igienico”. E poiché gli health coach sono curiosi per natura e vanno a fondo nelle cose, in special modo quando si tratta di salute e malattia, di benessere e malessere, non ci stupirà più di tanto sapere che Marcel Proust, che era figlio di un medico insigne nonché professore di Igiene alla facoltà parigina di Medicina, così scrive nella Recherche: “La medicina ha compiuto alcuni piccoli progressi dai tempi di Molière, ma nessuno nel vocabolario”.
Aprendo i lavori del Meeting Lab, Francesco di Coste, Presidente AIHC, vera e instancabile anima, oltre che effigie morale, di un’associazione in costante evoluzione, ha ricordato ai presenti che AIHC si candida ufficialmente per colmare un vuoto in Italia rispetto alla crescente domanda di benessere ed intende riempire questo vuoto esercitando il ruolo di mediatori di stili di vita salutari, che tradotto in breve equivale a “coltivare l’arte di saper erigere un ponte fra due rive”.
Di solito l’health coach costruisce un ponte eticamente solido e lo fa con obiettivi che guardano alla salute, al benessere, al progetto di una vita sana e, perché no?, potenziata (empowered). Come scrive Stefano Luca Patania, membro del Comitato scientifico di AIHC e nume tutelare della via umanistica verso il conseguimento del benessere organizzativo e personale: “Nel benessere l’effetto finale degli eventi si produce internamente alla persona stessa”.
E di nuovo con la mente andiamo al tema empowerment e potenziale umano per il cambiamento quando, subito dopo il Presidente di Coste, prende la parola il professor Giovanni Lapadula, un uomo del quale, non appena lo osservi e lo ascolti, pensi subito: “ecco un clinico con la C maiuscola, un patologo d’eccezione, un vero seguace di Ippocrate…”. Non si perde in chiacchere Lapadula ed afferma in modo perentorio: “Noi dobbiamo rinnovare la nostra capacità di ascolto”. Allora di cosa è fatta quella manciata di secondi, poco più di 20, che in media, secondo una ricerca statunitense (The Lancet 2000, vol. n. 356), un medico dedica ad ascoltare le parole del proprio paziente? Nel tempo della relazione tra chi parla e chi ascolta dove si ferma l’attenzione? Dove si posa la capacità critica e dove si sofferma l’immaginazione? Lapadula, infatti, ha ricordato che “senza Io narrante non può esserci la malattia”, come afferma lo scienziato, scrittore e filosofo Mirko Drazen Grmek, a sua volta medico, un medico che ha scelto di morire. Era devastato dalla malattia, ma con una ferma decisione di libertà e di autonomia si è sottratto alla macchina che lo teneva in vita, una vita che ormai gli stava stretta e non poteva esser chiamata con questo nome. Anche Salvatore Natoli, citato da Lapadula nella sua lectio magistralis, afferma che l’esperienza del dolore ha due aspetti: uno oggettivo, rappresentato dal danno per gli altri e dal conseguente senso di colpa di colui che si sente responsabile; ed uno soggettivo, ovvero la rappresentazione del modo, tutto individuale, in cui viene vissuta e motivata la sofferenza.
Nella Vienna fin de siècle – tanto asburgica quanto vitale e culturalmente aperta, oggi si direbbe inclusiva – di Nietzsche, Klimt, Freud e Rilke, Karl Kraus e Wittgenstein, lo scrittore e psichiatra Arthur Schnitzler, in un suo aforisma, ha detto: “Fra le due verità egualmente crudeli, vita e morte, abbiamo inserito la menzogna crudelmente confortante dell’immortalità” (“La trasparenza impossibile”, SugarCo 1993). Ed è la parola “conforto”, dal latino “rendere forti”, che mi fa comprendere appieno il racconto di Antonella Romanini, oncologa e membro del Comitato scientifico AIHC, quando descrive l’importanza del sostegno nell’affiancare l’altro in un cammino che può non condurre da nessuna parte. . .
“L’uomo una volta chiese all’animale: perché non mi parli della tua felicità e mi guardi soltanto? L’animale, dal canto suo, voleva rispondere e dire: ciò deriva dal fatto che dimentico subito quel che volevo dire, ma subito dimenticò anche questa risposta e tacque. L’uomo se ne meravigliò. Ma si meravigliò anche di se stesso , per il fatto di non poter imparare a dimenticare e di essere continuamente legato al passato: per quanto lontano, per quanto rapidamente egli corra, corre con lui la sua catena e ogni anello di questa catena rammenta all’uomo la sua mortalità” (F. Nietzsche, “La nascita della tragedia”, Adelphi 1973).
Oltre alle numerose e molto stimolanti relazioni che si sono succedute nel corso di questa giornata, rientrando a casa mi torna in mente un’immagine forte e persistente, legata ad una delle esperienze illustrate nella sessione sulle pratiche degli health coach italiani. Lucia Sgarbossa e Sabrina Rossi hanno donato ai presenti un breve saggio di Emotional Freedom Technique. Per alcuni minuti, a luci soffuse e ad occhi chiusi, tutti i partecipanti hanno eseguito – da soli, ognuna sulla propria sedia ma insieme, all’unisono – la consegna assegnata dalle conduttrici di quest’esperienza. Tutti a pronunciare più volte la formula “io mi amo, mi accetto e mi rispetto”, subito seguita dalle parole: “come sono, incondizionatamente e anche se soffro di. . .” (un disagio, una sofferenza, un dolore parlante dentro noi stessi).
Nello scorrere dei minuti ad alta intensità emotiva, provando a concentrarmi più sulle sensazioni e allontanando i pensieri frutto di mentalizzazione, in me si sono materializzate un paio di voci, ascoltate durante l’Assemblea dei soci AIHC, riunita il giorno prima del Meeting vero e proprio in una atmosfera resa calda dalla esperienza di Biodanza condotta da Lidia Gentile. Parlando di sé e della propria adesione a questa ancora poco nota e quasi clandestina professione, l’Health Coach, qualcuno ha detto: “Volevo vedere come si procede nella palude…” e qualcun altro, poco dopo, ha affermato: “da soli si va veloci, ma insieme si va lontano!”.
Giovanni Muratore, psicologo clinico e del lavoro, health coach, formatore e giornalista pubblicista.
Lavora a Roma in un’azienda del trasporto aereo, cercando di trasmettere alle persone l’importanza di riflettere, mediare, essere resilienti, saper ascoltare e ogni tanto porre qualche domanda prima di prendere le decisioni e/o emettere giudizi.
Nei libri, in particolare nei romanzi, ha trovato quel che non aveva mai cercato né desiderato e per questo motivo continua a leggere e a raccontare storie, spesso a voce alta, soprattutto ai bambini e alle persone che soffrono.
Giovanni Muratore
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